lunedì 27 maggio 2013

Quello che la legge non percepisce.


L'altro giorno, girando con le bambine nel parco, ho incontrato una vecchia amica. Non importa il suo nome, neppure se sia davvero una donna o meno... voglio soltanto raccontarvi la sua storia.
Quando eravamo giovani studiavamo musica assieme. Lei era una tipa esplosiva: l'energia fluiva dai suoi occhi così come dalle sue mani. 
Quelle che per me ed il pianoforte erano salite impervie, strade montane faticosissime e tortuose, per lei erano autostrade spianate, viaggi lievi. Un talento naturale.
Le nostre strade ad un certo punto si sono divise. Io alla ricerca dell'interpretazione più intensa che potessi, con i limiti di una tecnica che non avevo, lei strappando tasti alla velocità della luce, anche se non toccava corde dell'anima che mi rapissero; io infilato fino al collo nella musica da camera, amplesso di gruppo meraviglioso, lei solista indefessa, sola con la sua tastiera contro il mondo.

E poi...

E poi la vita. Le strade si allontanano, come spesso accade ci perdiamo di vista. Notizie quà e là... "E' andata a vivere a Londra, si è sposata con un brasiliano...", "no, è tornata, divorziata".

Poi, tempo dopo, molto tempo dopo, molto dopo la musica, per capirci, la incontro per le strade della nostra città. Siamo tornati al punto. Io che non mi son mai mosso e lei che girando il mondo è tornata a casa. 
Mi sembra spaurita. Quell'energia che le riconoscevo, svanita. L'occhio un po' annacquato, lingua impastata, pensieri deboli e lenti... parole piantate nell'aria come rampini a cercar presa.

Me ne faccio una ragione, in virtù del fatto che comunque le persone vanno e vengono e che malgrado la mia forma grave di empatia non posso farmi carico di ogni male del mondo.

Ed eccoci al parco. Zona altalene. Le urla felici dei bambini ed il cigolio delle tre altalene asincrone guidano alla felicità di una domenica normale.

La vedo. Sta spingendo il suo bambino. Adesso ne ha tre, non so bene quando siano saltati fuori ma poco conta.

Mi avvicino e l'abbraccio, così come se ci fossimo salutati ieri per rivederci il giorno dopo. Nessuna parola, prima. 
Quell'abbraccio le offre lo spunto per parlare. E così mi racconta che la sua testa, a un certo punto, ha detto "off". Si è spenta. Ha smesso di funzionare correttamente. 
So cosa voglia dire. Ma quello che è successo a lei non è stato di perdere il controllo del volo e cercare un atterraggio d'emergenza ma più o meno controllando il mezzo. Lei è proprio caduta. Fracassata al suolo.

La sua mente ha detto off senza sé e senza ma. E adesso alla sua dieta di essere mangiante ha dovuto aggiungere un cocktail di pillole pauroso. Roba che ti tiene semi-addormentato per ore, che ti fa dolere i muscoli, che ti spappola il fegato, ti annebbia la vista, toglie le parole. Ti tiene in vita ma in cambio ti tiene ostaggio. Sei vivo ma rapito.
Sei vivo ma sei quasi morto. 
O almeno lo sei per la società. Perché a chiamare malattia la tua malattia sono soltanto quei medici che fanno paura: psichiatri, psicologi, psicanalisti, psicoqualsiasi cosa...

Non puoi permettertelo. Perché se hai la sfortuna di inciampare in una malattia come la leucemia, il cancro, il diabete sei un "poverino mi fa tanta pena ma lo voglio aiutare, guarda quanto coraggio ha...".
Se invece ad ammalarsi è la tua testa sei un parìa. Un escluso.

E così ti fai una ragione delle cose. Che il mondo non ti vuole. Che tuo marito sta con te ancora non sai per quanto. Che non puoi lavorare a lungo e quindi nessuno ti vuole. Che non sei affidabile. 
Rischi anche che ti tolgano i figli. Ultima cosa al mondo che ti resta. Ultimo barlume di luce che ti permetta di vedere...

E così mi racconta di essere stata riconosciuta invalida all'85%. Le spetterebbe un lavoro secondo quella legge che prevede che ogni azienda con un tot di impiegati abbia almeno X assunti per le categorie protette.
Eh ma la stessa legge prevede che se l'azienda non assume in quel caso scatta la multa. Una multa pecuniaria risibile, vergognosa, la maniera per uscire dalla coercizione della legge in maniera pulita e senza trauma.

Mi dice che esce un bando per le categorie protette ogni sei mesi nella nostra zona. E che se ne uscisse uno prima in una zona diversa dalla sua dovrebbe rinunciare alla misera pensione di invalidità che ha per andare a sperare di essere assunta altrove.

Vive sulle spalle della pensione di invalidità del padre. Malato di Parkinson.
"Fin quando è vivo lui e mio marito riesce a tenere quel part-time che ha campiamo... ma dopo?".

Non vado oltre. Fa troppo male. Non posso raccontarvi lo sguardo con la quale mi ha detto queste cose. Mentre spingeva il bambino. Fino a quando le permetteranno di tenerlo.

Mi dice che riesce benissimo a fare lavori di ufficio: segreteria, centralino, appuntamenti. Lavora bene al computer...

Quello che vorrei è che la legge in questo Paese fosse sincera. O non fosse proprio.

Una legge seria in questa disciplina dovrebbe recitare che sé l'azienda che ha tot dipendenti non assume X dipendenti nelle categorie protette deve pagare la multa nell'ordine di una volta per ogni sede che abbia sul territorio italiano. E l'anno successivo se non si è messa in regola come penale dovrà pagare 10 volte tanto per ogni sede sul territorio... e così via.

Fino a quando capiranno che costa troppo. E guardandosi attorno troverebbero sicuramente uno dei migliaia di inutili manager, buyer, capiarea, capi canale, progettisti marketing che costano cinquanta volte quello che costerebbe una centralinista, segretaria, di quelle di una volta che servono molto ma non suonano più bene.

In un mondo perfetto, una legge così troverebbe lavoro a questi malati veri... e metterebbe a casa un po' di cialtroni che stanno distruggendo le nostre aziende costando tantissimo e producendo zero.

5 commenti:

  1. storia bella e commovente.Quello che dici corrisponde a verita':la depressione non sempre è riconosciuta come una vera e propria malattia e triste a chi capita una cosa del genere.Non ho la chiave in tasca per la soluzione e mi immedesimo in una storia cosi'.....se capitasse a me che cosa farei????Ma perchè siamo tutti cosi'"infelici"????C'è una componente biologica oltre che ad una componente psichica????Essere troppo sensibili.....comunque non aiuta

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  2. Conosco bene questa storia è una condizione difficilissima da vivere: ti scontri con chi ti considera un pària come hai ben detto e con chi non vuole pensare che questa sia una malattia.

    Vita difficile, strada impervia e colline sempre più ripide da superare.

    Mi ci immedesimo molto in questa storia, al punto che tante volte non riesco a trovarne il bandolo. E' una matassa infinita della quale il cercarne il capo diventa, credo sbagliando, l'unica uscita. D'altronde esiste anche l'uomo ma nella maggior parte di questi casi sta guardando altrove...

    Grazie Vannucci, sempre attento.

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  3. Grazie a voi per il commento amici. Luisa lancia una domanda molto complessa: "Perché siamo cosi' infelici?
    Bella domanda...

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  4. Storia commovente, anche perchè potrebbe essere prima o poi la storia di ognuno di noi................Sto leggendo un libro di Osho - Ricominciare da sè - in questo libro ci sono alcuni strumenti per prevenire e affrontare questa infelicità prima che diventi malattia.
    Grazie comunque per averla condivisa

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  5. Grazie molte Claudia. E' vero quel che dici, infatti ho delle persone qui e su GooglePlus che mi hanno fatto conoscere più approfonditamente alcuni pensatori orientali tra i quali Osho che secondo me raccontano al cuore come preservarsi.
    Il nostro problema rimane applicare alcuni dettami anche semplici se vogliamo ma difficili da attuare in un tipo di società dove si vive di accelerazioni inutili, stress indotti ed altro. La sfida è complessa ma vale la pena di essere affrontata, concordo con te.
    Buona domenica.

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