venerdì 31 gennaio 2014

Ciechi...

(Photo © by Snowblind6 Photography on flickr)

Siamo ciechi...
Non ci bastano il tempo, le cose, le persone. Scivoliamo sopra ai giorni come se fossimo su onde. Le città sono piene di particelle impazzite che si muovono incostanti, che cozzano l'una contro l'altra provocando scissioni di pensieri, dispersioni di attimi, fuggire di colori.

Ci attacchiamo alle notizie per sentirci vivi mentre sono loro che mangiano noi, ci inghiottiscono, fagocitano nella loro rutilare e nella nostra incessante e vuota curiosità senza alcun fine. Respiriamo a fatica. Ansimiamo. Ogni cosa ci crea caos, stress.

"Fuggire" è la parola che ascolto più spesso. 

"Andiamo via. Scappiamo. Cerchiamo un altro posto."

Ma esiste un altro posto? Perché ho come l'impressione che il posto più corrotto sia in noi e che quindi ovunque si vada la battaglia sia persa.

Dovremmo toglierci le bende dagli occhi, dalla bocca, i lacci dalle mani, le catene dai piedi. Dovremmo ricominciare ad annusare l'aria, a toccare le strade, a guardare la gente, a parlare, parlare, parlare...

Ogni tanto faccio appello a me stesso. Mi fermo nel buio delle stanze della notte e cerco di ritrovarmi tra le spire del tempo che scorre. Mi sento scivolare dalle mani dei giorni come sabbia irruenta e calda. Mi scopro informe come l'acqua, adattabile a tutto ma senza una sede certa, un luogo di sosta: una casa.


Ogni tanto faccio appello anche a voi, come se dalle vostra parole potesse uscire qualcosa di salvifico. Investo su di voi la ricerca della mia via di fuga, ben sapendo che ognuno ha la propria.

Eppure sono convinto che un gesto anticonvenzionale, un attimo di pausa tra i rumori di fondo, stringersi le mani l'un con l'altro in mezzo al caos di una città... e aggiungere sempre qualcuno e poi qualcun'altro e ancora fino a riempire una piazza, le strade attigue, tutta la città di persone che si tengono per mano e che provano a sentire insieme... Sono convinto che basterebbe un attimo di commozione e non di partecipazione passiva per aprirci alle lacrime. Un fiume bellissimo e curativo.

Invece continuo a vergare parole su schermo come se potesse servire a trovare una strada diversa.

Forse questi monitor dai quali ci affacciamo sono davvero una nuova piazza dove incontrarci, o forse ancora sono prigioni dove ci siamo rinchiusi definitivamente.

Perché quando si spegne anche questa voce lontana, fatta di bytes e numeri, l'aria attorno a noi viene di nuovo risucchiata via e come sottovuoto rimaniamo avvolti nel niente, sperando di essere ancora qualcosa.

Siamo ciechi. Andiamo a tentoni cercando qualcosa che le nostre mani riconoscano. Dove siamo, infine?

Dove siamo, amici miei?

© by Leonardo Vannucci (lioklingo@gmail.com)

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